Alla II edizione della “Giornata nazionale del Dialetto” anche questa testata ha voluto dare il suo contributo proponendo gli articoli del giorno affiancati dalla traduzione locale. I testi non hanno pretese di originalità e differiscono tra loro con le particolarità adottate da ogni cronista. È questo un modo per celebrare “il dialetto” e saranno omessi segni grafici tipici di questa parlata per favorire un più facile approccio alla cultura locale. Di seguito la storia degli scritti sul dialetto cilentano e alcune note di carattere generale sulle diverse parlate che ci celano sotto il nome di “cilentano”.
La produzione scritta sul dialetto locale. Se gli studi sul dialetto cilentano hanno una data di inizio, essa necessariamente va a coincidere con la stesura della lettera di Federico Piantieri “Del Cilento e del suo dialetto” indirizzata ad Ernesto Palumbo officiale della Biblioteca Nazionale di Napoli. Porre lo scritto di Piantieri come il primo lavoro “su carta” circa il dialetto cilentano è assolutamente accettabile da un punto di vista cronologico (1869); più discutibile è invece la posizione che dobbiamo assumere se ci appelliamo ad un punto di vista strettamente “grammaticale”. La lettera del Piantieri, da questa angolazione, risulta abbastanza scarna; bisogna però sottolineare, a tal proposito, e scagliando una freccia a suo favore, che lo sforzo dello studioso è notevole, se si pensa che all’epoca non vi era alcuna bibliografia da cui attingere, e inoltre, è lo stesso autore a precisare che questo suo lavoro non è altro che uno scritterello intorno al dialetto del Cilento. Grammaticalmente parlando, invece, dobbiamo aspettare gli anni ‘30 del ‘900 per avere un’adeguata produzione scritta, che sarà poi alla base dei futuri studi su questa nobile parlata: 1932, lo studioso americano Lewis Amadeus Ondis, da alla luce uno scritto (in origine) in lingua inglese, il quale, solo un cinquantennio dopo verrà tradotto in italiano. Sembra quasi assurdo che lo studio del cilentano, in modo più o meno dettagliato, sia stato eseguito per la prima volta da qualcuno di oltreoceano. Ondis accentra la sua attenzione sulla fonologia; 1937, ancora uno straniero compie studi sul dialetto cilentano: il grande glottologo tedesco Gerard Rohlfs, da vita ad uno originale articolo-glossario sulla terminologia cilentana. Il lavoro rolfiano nasce come risposta-reazione alla posizione assunta da Ondis nella sua fonologia, seppur non apertamente contrastando i suoi studi. Nei lustri che seguono tale periodo la produzione scritta che annota caratteristiche del dialetto cilentano si intensifica e fino a tempi recenti continuano ad avvicendarsi diversi contributi, utili al tramando ed alla salvaguardia di questa parlata.
Alcune osservazioni linguistiche. Il dialetto cilentano spesso differisce in modo abbastanza marcato anche tra paesi posti a poca distanza tra loro, ma conserva anche alcune affinità, non solo nel territorio ma anche rapportandolo a quelli limitrofi che non rientrano nella stessa area geografica.
Da un'analisi linguistica assai sommaria, si notano divergenze vocaliche tra il cilentano e i restanti dialetti meridionali. Nel nostro dialetto le vocali accentate dipendono dalla finale, mentre ciò non accade nei dialetti calabresi e siciliani, i quali tendono a chiudere in “i” e “u” la “e” e la “o” (entrambe vocali chiuse), indipendentemente dalla finale. Affinità con diversi dialetti meridionali sono invece il nesso “nd”, come in “quando”, che diventa “nn”, restituendoci “quanno”, mentre la doppia l “ll” di “gallina”, si rende in “dd”, dandoci “addina”.
Una particolarità è data dall'assenza di dittonghi nel dialetto di Camerota, presenti invece nel restante territorio; ciò conferisce a questo centro l'appellativo di “isola linguistica” poiché analizzando il dialetto locale, il territorio camerotano va integralmente scorporato per le sue particolarità. Questo dato è importante per evidenziare che il dialettocilentano non è definibile tale, o meglio più che dialetto il cilentanto è un vero e proprio sistema linguistico in cui convivono numerose “lingue secondarie” che si fregiano indistintamente dell'appellativo “cilentano.”